Da qualche giorno mi
sto documentato sul confuso, ingarbugliato e inaffidabile mondo dei test per le
intolleranze alimentari, per scrivere un nuovo articolo. Non avete idea di
quanto sia complicato tentare di stilare una lista almeno vagamente completa
dei centinaia di metodi messi a punto negli ultimi anni e stabilirne
l’affidabilità! Appena mi sembrava di aver capito qualcosa e tentavo scrivere
qualche riga, mi sorgevano nuovi dubbi e mi toccava ricominciare tutto da
capo!!
Così, nel corso dell’ennesima ricerca, mi sono
imbattuta nel sito Albanesi.it, e, in particolare, in un articolo che mi ha
lasciato piuttosto perplessa. L’articolo trattava le intolleranze alimentari o,
meglio, l’inesistenza delle intolleranze alimentari. In un momento storico in
cui sembra che chiunque conosca almeno una persona – dalla vicina di casa, al
parente alla lontana – intollerante ad almeno un alimento – dal glutine ai
pesci tropicali – , questa risulta essere una vera e propria voce
controcorrente!
In breve, ecco la tesi
proposta: le uniche intolleranze attualmente riconosciute scientificamente e
validate da esami diagnostici specifici e totalmente affidabili, sono
l’intolleranza al lattosio e la celiachia. Qualsiasi altro tipo di intolleranza
sembra essere solo un sintomo, una manifestazione di una patologia o un
malessere di base, che minano la cosiddetta buona qualità della vita. Ho letto
molto spesso, con mia profonda sorpresa, che alcune malattie psichiatriche,
come l’autismo, miglioravano sensibilmente togliendo il glutine dalla dieta del
paziente. La teoria che propone l’articolo è opposta: è la patologia psichiatrica
a causare l’intolleranza, non viceversa!
Senza arrivare a casi
patologici davvero gravi, vi sono condizioni psicologiche più blande, come
ansia, stress, lieve depressione che, senza richiedere necessariamente una
terapia psichiatrica, possono innescare comunque una situazione di
intolleranza, perché provocano un abbassamento delle difese immunitarie. Lo
stesso meccanismo interessa stili di vita scorretti, come il sovrappeso o il
sottopeso, la sedentarietà, il fumo…
Insomma, non abbiamo
smesso di digerire il glutine perché siamo diventati intolleranti, ma perché
siamo stressati, tristi, mangiamo male e raggiungiamo il nostro picco massimo di
attività fisica saltando sul divano
Inevitabile, a questo
punto, farsi un esame di coscienza… Sì, lo ammetto. Sono sempre arrabbiata,
sono pigra e mangio…beh mangio! Dolci per lo più… Insomma, mi dichiaro
colpevole. Ma qual è la conclusione? Diventando l’anello mancante tra un
culturista e un maestro zen sarò in grado di mandare giù una teglia di lasagne
intera come se fosse un bicchiere di acqua fresca?
Ho deciso di chiederlo direttamente all’autore
dell’articolo, mandando una mail per chiedere chiarimenti. In seguito, allego
il testo e, ovviamente, vi aggiornerò sulla risposta, sperando che arrivi
presto!
Bye-bye. Una golosa
sedentaria pentita.
"Buon giorno,
sono un’aspirante infermiera di 21 anni
a cui è stata diagnosticata la gluten sensitivity, ovvero un’intolleranza al
glutine, sulla quale sto conducendo diverse ricerche e scrivendo un blog
personale. Proprio nel corso di una delle mie ricerche, mi sono imbattuta nel
vostro articolo in merito alle intolleranze alimentari (http://www.albanesi.it/Salute/intolleranze.htm).
Ho trovato l’articolo molto interessante e Vi sarei grata se poteste darmi
qualche informazione aggiuntiva.
Innanzitutto, mi trovate completamente d’accordo sulla
scarsa (per non dire nulla) affidabilità dei test diagnostici più in voga al
momento. Quando, circa 6 mesi fa, ho iniziato a presentare sintomi come forti
dolori addominali, alterazione dell’alvo, nausea e vomito, ho seguito un
percorso diagnostico classico: un pacchetto standard di esami del sangue con
particolare attenzione alla funzionalità epatica, la ricerca degli anticorpi
antigliadina (quando era chiaro che il
mio problema fosse legato a qualche fattore alimentare), che è risultata
negativa, e, infine, il dosaggio delle IgG sieriche, specifiche per il glutine,
che sono risultate essere positive e perfino a livelli piuttosto alti. Così, mi
sono ritrovata ad escludere il glutine dalla mia alimentazione, non senza
qualche errore dalle spiacevoli conseguenze. Ho condotto qualche ricerca sulle
cause che portano a sviluppare l’intolleranza al glutine, che viene attribuita
per lo più all’alto tasso di OGM e all’onnipresenza di glutine nella nostra
alimentazione. Ammetto che questa tesi mi è sembrata piuttosto convincente. D’altronde,
incolpare il sistema è decisamente più semplice che cercare in se stessi le
responsabilità della propria salute.
Tuttavia, leggendo il Vostro articolo mi sono fatta un vero
e proprio esame di coscienza. In effetti penso di potermi definire un po’
ansiosa e stressata (ma nella misura in cui lo sono tutti di questi tempi) non
pratico sport e la mia alimentazione è quella di una studentessa ventenne:
piuttosto sregolata!
Dunque, ciò che mi interessa sapere è se ritenete che un
soggetto con un’intolleranza secondaria può “guarire” attenendosi ad una
alimentazione impeccabile, praticando attività fisica e magari con la
consulenza di un bravo psicologo? Se sì, ci sono ricerche che lo dimostrano?
Inoltre, secondo Voi è possibile avere un’intolleranza
primaria al glutine, senza essere affetti da celiachia, ovvero, avere la Gluten
Sensitivity? Qual è la Vostra opinione riguardo a questa intolleranza, che
alcuni esperti ritengono interessare il 10% della popolazione, mentre altri la
definiscono una psicosi collettiva?
Vi ringrazio anticipatamente per la risposta.
Cordiali Saluti"
(foto: www.essseresani.it)